20 ANNI DI GIORNO DELLA MEMORIA: UN BILANCIO

Legge 20 luglio 2000, n. 211

“Istituzione del ‘Giorno della Memoria’ in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000.

Art. 1 La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

 Art. 2. In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere.

 

A venti anni dalla prima celebrazione del Giorno della Memoria ha senso tracciare un bilancio degli effetti scaturiti dall’introduzione di questa ricorrenza. Non c’è dubbio che dal 2001 si siano succedute iniziative importanti, specie al fine di coinvolgere gli studenti delle scuole in un percorso volto ad accrescerne la consapevolezza e la capacità di giudizio: dal Treno che ha portato migliaia di ragazzi nella regione concentrazionaria di Auschwitz al concorso nazionale “I giovani ricordano la Shoah”, dai corsi di formazione e aggiornamento dei docenti ai meeting dove si ospitano i testimoni e gli esperti.

Questo stesso portale, nella dimensione piccola della nostra scuola di provincia, è prova dell’impegno profuso da tanti studenti nel realizzare lavori dedicati al tema delle persecuzioni e, più in generale, dei razzismi, archivio condiviso delle nostre iniziative ma anche strumento in grado di guidare all’approfondimento di questi contenuti storici chiunque intenda meglio informarsi e formarsi.

Ciò nonostante, sarebbe miope e univoca una lettura solo encomiastica del 27 Gennaio. Troppo scontata e proprio per questo banale.

No, noi abbiamo deciso di chiederci, accanto ai PRO, anche i CONTRO di tale commemorazione. Prima riflettendo su alcune questioni generali, aiutati in questo dagli studiosi che hanno analizzato il problema, poi cercando di esprimere in prima persona i nostri punti di vista.

Nel suo recente libro “I guardiani della memoria e il ritorno delle destre xenofobe” Valentina Pisanty sostiene che, dopo venti anni di Giorno della Memoria, è aumentato il fenomeno del negazionismo aggressivo e, in generale, dell’odio antisemita. Questa denuncia ci porta, in effetti, a riflettere sulla valenza educativa della commemorazione, a chiederci se anche nelle scuole il lavoro volto a coinvolgere e sensibilizzare i ragazzi sul tema della Shoah rischi di produrre l’effetto contrario di un’insofferente abitudine o, peggio, di una disincantata indifferenza.

Elena Loewenthal, nel suo “Contro il giorno della memoria”, già ci invitava a meditare su un equivoco di fondo che snaturerebbe e distorcerebbe la celebrazione del 27 Gennaio: esso si ridurrebbe a un omaggio postumo degli ebrei vittime dei lager più che sollecitare una seria introspezione sulla violenza inaudita e barbara perpetrata dagli europei, su come si sia generata, su come abbia coinvolto milioni di onesti cittadini. La memoria si dimostrerebbe cioè insincera, non quell’atto di riflessione interiore che avrebbe dovuto essere, una seria meditazione su come abbiamo potuto tanto (in quanto italiani, europei, esseri umani), ma un ipocrita risarcimento postumo alle vittime.

Più nel dettaglio, Robert S. C. Gordon, in “Scolpitelo nei cuori. L’Olocausto nella cultura italiana (1944-2010)”, prende di mira la rimozione del grado di responsabilità del nostro popolo nella persecuzione ebraica; un popolo, il nostro, che continuerebbe ad essere suggestionato dal mito del ‘bravo italiano’ contro il ‘cattivo tedesco’, capace di lenire il nostro senso di colpa persino nel Giorno della Memoria, spostando in parte le ragioni di questa commemorazione affinché non disturbino le illusioni di un immaginario collettivo che ci assolve.

No, il 27 Gennaio non è uno speciale 2 Novembre degli ebrei.

Né può essere liquidato come un rito politico divisivo volto a un indottrinamento forzato, una memoria di parte scaturita dalla narrazione enfatica della Resistenza antifascista in omaggio alla mitopoiesi della Sinistra del dopoguerra. Eppure, neanche il problema della memoria divisa e divisiva è stato ancora risolto se in correlazione al Giorno della Memoria si sente doveroso celebrare ‘la memoria degli altri’, vale a dire il Ricordo delle vittime delle foibe.

E’ evidente che qualcosa vada rivisto nelle forme e nei modi di fare memoria se essi hanno prodotto e accentuato i conflitti tra memorie, vale a dire tra attori che si presentano come vittime e che rivendicano spazi propri, spesso sottolineando come la propria condizione non sia riconosciuta perché sopraffatta, o meglio oppressa, dalla procedura vittimaria di altri.

Occorre seriamente chiedersi se questo ricordo pubblico e ritualizzato così come l’abbiamo vissuto negli ultimi venti anni sia sufficiente a fare da antidoto alla ricaduta nella barbarie, mentre i sopravvissuti se ne vanno e svanisce fatalmente l’esperienza di una memoria diretta dello sterminio.

Ovviamente le risposte non sono facili né scontate.

Noi qui ci vorremmo limitare a suggerirne una: la necessità di coniugare la memoria alla storia. Se, infatti, la memoria tocca soprattutto le corde dei sentimenti e serve ad emozionarci, a far scattare l’identificazione empatica con le vittime, è nella dimensione dello studio – lento, trasversale, progressivo, stratificato, complesso – che possiamo cogliere le pieghe degli eventi, riflettere sulle cause che li hanno indotti nel breve come nel lungo periodo, divenire coscienti delle dinamiche sociali che ne sono scaturite.

Ma, appunto, lo studio della storia, se solo guardiamo al ciclo di istruzione superiore, è relegato in sordina, compresso e forzato in due ore settimanali durante le quali debbono essere passati in rassegna secoli. Stando così le cose, è inevitabile ridurre la trattazione (e l’approfondimento, e le occasioni di progetto, e il coinvolgimento dei ragazzi) della Shoah a pochi scampoli di ore, assolutamente non sufficienti a sortire l’effetto di una costruzione di consapevolezza seria e partecipata.

E in mancanza di un retroterra culturale che supplisca all’analfabetismo storico di ritorno le giornate dedicate alla memoria e al ricordo rischiano di essere decodificate secondo registri semplificatori, di suscitare tutta una serie di perplessità e di dubbi che nella voce diretta di noi studenti – come si evince dai nostri interventi qui sotto -non mancano di emergere e di assumere senso.

 

Luca:

Il Giorno della Memoria: utile manifestazione o strascico abitudinario?

Il 27 Gennaio di ogni anno si celebra il “Giorno della Memoria”, una manifestazione creata affinché non si perda il ricordo del terribile genocidio nazista e perché si sensibilizzino i giovani e le nuove generazioni che faranno il futuro ai pericoli legati al potere e alla violazione dei diritti dell’uomo, che viene trattato come una bestia, se non peggio.

Sta funzionando? Senza dubbio le istituzioni si stanno impegnando e i giovani sembrano recepire, eppure emergono delle criticità. Il Dio del nostro tempo si chiama Pluto, il dio-denaro, ed è davvero un grande rammarico che un’iniziativa come questa venga purtroppo strumentalizzata (non da tutti, non è giusto fare di tutta l’erba un fascio). E’ triste però, che se si cercano i dati ANSA sullo sterminio, appaiano sopra le foto delle camere a gas le pubblicità di un importantissimo brand di profumeria. Così come è triste, l’ultima sera di gennaio, sentire la direttrice del TG “incredibile, boom di ascolti nell’ultima settimana per il nostro emittente televisivo grazie alla cinematografia inerente al Giorno della Memoria”: se da un lato fa piacere, molto piacere, che milioni di persone decidano di vivere, seppure in misura infinitamente minore, un assaggio di quella terribile esperienza per ricordarla, dall’altro ci sono le guerre delle grandi marche e i milioni di euro che vengono spesi in una corsa folle e in un’asta decisamente macabra, visto il contesto, per accaparrarsi i due minuti di pubblicità che intercorrono tra una scena e l’altra de “La vita è bella”.

A proposito del grandissimo capolavoro italiano, non c’è da dimenticare come alla mezzanotte del Giorno della Memoria, come lupi mannari, mezza Italia si trasformi in critica cinematografica d’esperienza trentennale: quante volte abbiamo sentito dire, dopo la visione di grandi capolavori che raccontano storie così terribili, “eh ma ‘La vita è bella’ è superiore perché l’ironia antitetica con cui tratta l’argomento è senz’altro meglio della pesantezza di ‘Schindler’s List’” oppure “Non lo avrei fatto finire così ‘Il bambino col pigiama a righe’, troppo pesante”.

Ecco, c’è da chiedersi, ma siamo davvero così buzzurri e ignoranti da non riuscire a cogliere l’emozione e le storie, tutte diverse tra loro, di grandi capolavori e ricordare il loro soggetto, invece che giudicare quale regista o colonna sonora sia la migliore? La risposta è che siamo impauriti e al tempo stesso coscienti che quelle vite, quei milioni di vite, è stato l’uomo a stroncarle.

Allora sì, andiamo a dormire tranquilli, perché Nicola Piovani ha scritto una delle più belle musiche di sempre, andiamo a dormire tranquilli perché Benigni è meglio di altri attori. Quanti incubi faremmo se davvero vedessimo le cose per quello che sono. E sì, ‘Il bambino col pigiama a righe’ è pesante, così come lo sono tutte quelle anime sulle nostre spalle, e di nuovo, quello che possiamo dire, in entrambi i casi è “vorrei che fosse finita diversamente”.

 

Anna:

La celebrazione del Giorno della Memoria compiuta ogni 27 Gennaio di ogni anno ha come scopo un’azione: ricordare. Quest’azione ad una prima lettura può risultare semplice e banale ma il suo vero significato è profondo, è stato costruito nel tempo ed è proprio di quest’ultimo che vive. L’uomo, che per natura tende ad assumere una posizione di dominanza sugli altri e che in natura appare l’unico essere vivente in grado di distruggere il proprio habitat e infierire sui propri simili su vasta scala, proprio in occasione di questa celebrazione deve ricordare il passato, per rendersi consapevole di cosa è in grado di fare e cosa ha compiuto la sua stessa specie, così che possa riflettere sul cambiamento avvenuto, sui risultati ottenuti negli anni, con lo scopo di reprimere questo istinto naturale. A mio parere, ricordare insegna a pensare e in un mondo come quello di oggi dove sempre più persone agiscono per istinto senza dedicare tempo al ragionamento, è essenziale l’istituzione di un giorno dedicato non solo al ricordo, ma anche alla riflessione di quanto viene ricordato. È vero, un singolo giorno sicuramente non porta a concreti cambiamenti, ma io credo e voglio credere che rappresenti già un inizio, che faccia nascere un pensiero, un’idea, una riflessione soprattutto nell’animo dei giovani che, ovviamente condizionati dal mondo in cui vivono, tendono sempre di più a evadere da questa realtà per ritrovarsi poi in un’altra virtuale che spesso finiscono per confondere con quella vera. Infatti ritengo che questa celebrazione sia importante non tanto per far ricordare il passato a chi l’ha vissuto proprio di persona ma per far ricordare ai giovani, che, non rendendosene conto stanno sprecando maggior parte del loro tempo in un mondo che non esiste, tempo che potrebbe essere impiegato semplicemente per leggere un libro e accorgersi di essere circondati dalla vita, anzi da molte vite, da racconti, da storie, da ricordi che non aspettano altro che di essere condivisi per non essere dimenticati. Molte volte, guardandomi intorno penso a un mondo popolato solo dalla mia generazione e devo ammettere che sono molto spaventata da questo perché mi rendo conto della disinformazione che ormai domina noi giovani. La disinformazione insieme ai pregiudizi, a mio parere, costituisce il peggior nemico dell’uomo, proprio per questo, dal mio punto di vista, dovrebbero essere istituite altre mille giornate come il 27 Gennaio, per informare le persone e per far sì che questo mondo, che senza ombra di dubbio sta cambiando, cambi nel modo giusto. A mio avviso, però, esistono anche alcuni aspetti negativi di questa celebrazione del Giorno della Memoria. La strumentalizzazione è uno di questi. Non sopporto che alcune persone strumentalizzino questa celebrazione partecipando a manifestazioni, incontri con il solo scopo di ricoprirsi di credibilità quando sono i primi a non condividere le opinioni e i principi che sono comunicati e rivestiti da questa occasione. Inoltre ritengo che celebrazioni stereotipate e non partecipative di questa giornata possano scatenare l’effetto contrario rispetto a quello per cui è nata. Con questo voglio dire che ognuno deve essere libero di celebrare la Giornata della Memoria non vincolato da commemorazioni prestabilite, imposte a tutti e molte volte inserite in contesti di cui non fanno parte.

 

Alessandro:

“memòria s. f. [dal lat. memoria, der. di memor -ŏris «memore»]. – 1. a. In generale, la capacità, comune a molti organismi, di conservare traccia più o meno completa e duratura degli stimoli esterni sperimentati e delle relative risposte. In partic., con riferimento all’uomo (nel quale tale funzione raggiunge la più elevata organizzazione; dal dizionario Treccani”

A seguito degli eventi relativi alla Seconda Guerra mondiale e alla correlata Shoah, decine di milioni di persone si trovarono a fare i conti con una serie di fatti che avevano lasciato un segno indelebile nei loro animi e nelle loro menti. Vedere gli orrori compiuti su persone innocenti e su connazionali e conoscenti, ha cambiato e colpito profondamente proprio chi ne ha avuto esperienza più o meno diretta, causando spesso dei traumi che sono rimasti per tutta la vita, portando con sé danni irreparabili. Dopo circa settanta anni dalla fine di quelle pratiche, si snelliscono sempre più le fila di quei testimoni diretti che negli anni passati hanno rievocato i dolorosi ricordi permettendo alle nuove generazioni di comprendere come l’indifferenza può creare fenomeni terribili e talmente indicibili che tutt’ora fanno rabbrividire. Mantenere quindi una giornata dedicata al ricordo di questi eventi può per questo, a prima vista, sembrare una strategia efficace e doverosa per trasmettere la crudeltà il dolore che questi la memoria di questi fatti ancora fa emergere nelle menti dei sopravvissuti. Ma ad un’analisi più accurata, si rendono evidenti le limitazioni e le lacune che questa soluzione presenta: in prima istanza, la ciclicità dell’evento instaura nei cittadini un senso di ripetitività e di ritualizzazione  che può, a lungo andare, portare proprio verso l’esito contrario rispetto a quello sperato, canalizzando gli sforzi e le azioni in una lista di voci da smarcare, piuttosto che nella riattualizzazione e nella riscoperta continua di un accadimento che è stato e deve continuare a essere un punto di riferimento per la società attuale. Inoltre, la struttura stessa di una ricorrenza annuale è di per sé inadeguata alla funzione che si propone di svolgere, in quanto dalla definizione stessa di Memoria ([…] la capacità di conservare traccia più o meno completa e duratura degli stimoli esterni […]) si evince come sia necessario un impegno continuo e capace di mantenere nel tempo gli stimoli che fissano nella mente il ricordo. E’ quindi logico pensare che una soluzione più adatta si potrebbe articolare in una serie di azioni mirate e continue, da integrarsi nel programma di istruzione elementare e superiore e negli ambiti lavorativi con le metodologie più adatte per ciascuna di queste, così da scindere la sfera relativa alle tradizioni e alla sterile ripetizione di una serie di cliché, da quella dello studio e della comprensione che porta ad una fertile rielaborazione in chiave attuale e atta al progresso e alla riscoperta progressiva di un evento che non deve restare una croce rossa su un calendario.

 

Irene:

Il 27 Gennaio è celebrato da anni il giorno in memoria degli ebrei vittime di deportazione presso i campi di concentramento nel periodo nazista.

Per quanto importante possa sembrare ricordare in una particolare occasione una così grande tragedia, possiamo comunque riflettere sulle ragioni per cui questa possa essere eliminata.

A mio parere, perde di senso la celebrazione di tale giorno in quanto sono ancora ad oggi frequenti episodi di palese antisemitismo, i quali non si risolveranno sicuramente con l’ausilio di una giornata dedicata al ricordo.

Purtroppo infatti non si può dire ancora superato questo atteggiamento ostile nei confronti degli ebrei, facilmente dimostrabile con le frequenti rappresentazioni di svastiche o con la necessità di porre sotto scorta una figura quale Liliana Segre (all’età di novanta anni), di grande spicco nella lotta all’antisemitismo.  Al momento, in una società ignorante e violenta, non ha significato ricordare ciò che ancora non è concluso; l’apertura dei cancelli di Auschwitz ha rappresentato sicuramente un momento di storica importanza morale, ma la strada è ancora lunga per arrivare ad un mondo, forse utopico, dove i pregiudizi perderanno finalmente di senso.

Grazie allo studio della storia sono in grado di ammettere l’incredibile modo in cui gli avvenimenti si ripetano a distanza di anni e come l’uomo non cambi mai; ci basti pensare alla situazione, simile in certi aspetti alle suddette deportazioni, riguardante l’immigrazione odierna ed al sentimento di razzismo che ancora ci accompagna.

Concludo dicendo che, sarebbe consono, più che introdurre un giorno della memoria percepito ormai come un’abitudine, intervenire per mezzo dell’insegnamento: educare al rispetto altrui ed alla diversità.

 

Viola:

A partire dal 27 Gennaio 2001 si celebra annualmente il Giorno della Memoria e ad oggi i bilanci positivi che ne traiamo vanno scemando a causa della lontananza storica dell’evento che si vuole commemorare: sono ormai passate tre generazioni e anche i testimoni dell’evento, coloro che sino ad ora hanno tramandato le loro vicende nella speranza di essere ricordate dai più giovani, sono rimasti pochi. La mancanza di questi uomini e di queste donne segna uno strappo tra l’accaduto e il presente: viene a mancare quel ponte di congiunzione che rende vivo il ricordo della Shoah.

Inoltre, questa ricorrenza sembra allontanarsi sempre di più da noi a causa della mancanza di comunione e di unione tra le persone intorno a questo tema: non si è riusciti a sensibilizzare a pieno e ora ciò emerge in modo evidente. Tra negazionisti e persone che tutt’oggi elogiano chi ha commesso questo crimine contro l’umanità, ci sono poi uomini che non lo rinnegano, anzi lo condannano ma che allo stesso tempo denunciano il mancante ricordo di altre persecuzioni e ingiustizie, come quelle subite dalla popolazione curda e da quella cinese, ma anche dagli Indios nel Centroamerica.

Le continue divisioni in una società, che invece dovrebbe saldarsi nella sua unità nei confronti di una commemorazione universale, fanno apparire quest’ultima sempre più sterile e fine a sé stessa.

 

Anna:

Non è facile determinare cosa sia giusto e cosa non lo sia, ciò che è sicuro è che la Giornata della Memoria tratta un argomento delicato e sempre attuale. La Shoah e con essa ogni tipo di discriminazione è un evento disumano che l’uomo non deve ripetere e che dovrebbe ricordare ogni giorno. Questa celebrazione è diventata in qualche modo una routine e spesso viene fatta “perché si deve fare”, genera tristezza e orrore negli uomini, ma lo fa un solo giorno all’anno. Ci sentiamo in qualche modo in pace con noi stessi, ci togliamo il peso di aver ricordato una simile catastrofe attribuendo ad essa un giorno con la convinzione che sia abbastanza, piuttosto che nel verificare che l’idea che ciò non debba più accadere sia bene nella mente di tutti ma in particolare nelle nuove generazioni.

 

Lorenzo:

Il 27 gennaio prossimo verrà celebrato per il ventesimo anno consecutivo il Giorno della Memoria, ovvero la data che commemora la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz avvenuta nel 1945. I campi di concentramento furono moltissimi ma, pur avendo scopi diversi, erano accumunati da un unico denominatore: il maltrattamento della specie umana.

Ancora oggi ci interroghiamo come tutto questo sia stato possibile ma ancor di più domandiamo come così tanti uomini abbiano potuto permettere che tutto ciò potesse accadere.

E’ stato uno dei fatti tra i più gravi che la storia abbia mai potuto registrare, ed è per questo che, anche a distanza di tempo, si è pensato di trovare un modo che portasse tutta l’umanità a riflettere su quei gravissimi episodi accaduti, affinché gli uomini di oggi, alla luce di quei fatti, non potessero mai più ripetere ciò che è accaduto.

A distanza di venti anni mi trovo a riflettere sul valore che questa commemorazione rivesta oggi nella nostra società, se tutto quello che si è creato intorno al Giorno della Memoria, abbia sortito nelle menti e nei cuori delle persone quell’effetto che prima lo Stato italiano nel 2000, poi l’Assemblea delle Nazioni Unite in quel 1° Novembre 2005 avevano pensato. Sicuramente il primo intento fu quello di portare tutti a non dimenticare l’atrocità del fatto e di creare a tal scopo un evento che portasse ogni anno a ricordare quelle gravi ingiustizie che milioni di uomini subirono senza colpe alcune. Questo avrebbe portato a riflettere non tanto sull’accaduto, ma soprattutto sulle conseguenze dovute alle divergenti scelte di fede, di credo politico o di identità sessuale, per le quali alcuni individui sono giudicati o ancor peggio puniti perché non uniformati alla massa. Purtroppo, ancora oggi assistiamo, anche se in misura differente, auna sorta di sterminio per stillicidio, a continue violenze rivolte a persone indifese, come erano quegli ebrei deportati, solo perché ritenute diverse per le loro origini o per le loro scelte di vita. Questo mi fa riflettere su quanto poco tutto quello che viene creato intorno a quel 27 gennaio abbia fino ad oggi cambiato coloro che continuano a violentare, verbalmente e fisicamente, chi è considerato in un certo qual modo ‘diverso’.

La commemorazione della Shoah riguarda un fatto che ormai si è verificato quasi ottanta anni fa e nella popolazione attuale le persone che hanno vissuto quel momento sono ormai ridotte a una piccola minoranza che, a parer mio, non ha più la capacità e la forza di poter influenzare in maniera tangibile le menti e i cuori delle persone con le proprie testimonianze.

A mio avviso sarebbe più efficace proporre qualcosa che facesse meditare molto di più gli individui sul portato della Shoah e della mentalità intollerante e razzista ai giorni nostri, cioè non più campi di concentramento ma ingiustizie e persecuzioni di diverso tipo che appaiono meno devastanti perché non effettuate in massa, ma con effetti finali non meno gravi.

 

Robert:

Il Giorno della Memoria viene celebrato per ‘fermarsi un attimo’ e ricordare uno degli eventi più tragici nel corso della storia europea. Il giorno si pone come obbiettivo quello di portare ogni anno consapevolezza del terribile evento e smuovere nelle generazioni il rifiuto all’oblio di uno dei più gravi errori (orrori) della storia. Dal 2001 si commemora in Italia il Giorno della Memoria, ma nel corso del tempo il contenuto delle celebrazioni ha assunto un’impostazione ormai retriva. Al contrario, l’argomento dovrebbe essere trattato adeguandosi ai tempi storici…

Un’idea potrebbe essere l’introduzione di questo argomento sui social, difatti i social sono la “scuola” del nuovo millennio, che questo piaccia oppure no. Dovrebbe essere implementato un sistema sui social che, parallelamente al Giorno della Memoria, introducesse una serie di appendici storiche ove ogni utente potrebbe informarsi e sensibilizzarsi sull’argomento. Il tema viene trattato con molta superficialità durante il corso dell’anno e sembra quasi che il Giorno della Memoria sia l’unico momento doveroso da dedicare al ricordo. Bisognerebbe organizzare incontri, anche introducendo incontri virtuali tra le classi, con storici, diretti testimoni; insomma il Giorno della Memoria non deve essere l’unico momento per ricordare.

 

Matteo:

Io credo che il Giorno della Memoria sia ormai diventato una liturgia, ovvero ogni anno durante questo giorno commemoriamo le vittime dell’Olocausto, ma senza stare a riflettere troppo su questo. Ciò secondo me alleggerisce il peso che dovrebbe avere questa ricorrenza e fa sì che magari qualche persona non sappia neanche che cosa si ricorda durante questo giorno. Inoltre, secondo me, sta diventando una ricorrenza monotona e, dunque, si dovrebbe ripensare a un qualcosa di nuovo anche per coinvolgere i ragazzi più giovani e per far sì che ciò che è successo rimanga per sempre nella mente di ogni persona perché in questo modo si evita che succeda di nuovo una cosa del genere.

 

Riccardo:

Parto con il dire che, rispetto al primo tema relativo al ‘diritto all’oblio’, mi sono anche ispirato a un phamplet di Elena Loewenthal.

Appunto, il “diritto all’oblio”: l’uomo ha il diritto di poter dimenticare un passato terribile e da cui si sente sopraffatto, ha il diritto di lasciarsi alle spalle questa enorme tragedia che ha portato alla morte 12 milioni di persone, di cui più di 6 solo ebrei. Il mondo ha istituito il Giorno della Memoria per commemorare i morti, i deportati e i sopravvissuti, ma sempre più spesso negli ultimi anni viene utilizzato da molti per esprimere il loro odio verso ciò che è successo durante la Seconda guerra mondiale. Esso sta perdendo, pian piano, la vocazione per cui è nato. Ad aggravare questo fatto è che molto spesso anche a scuola non se ne parla né quanto si dovrebbe, né come si dovrebbe: ci si limita a parlarne 10 min, o a vedere un film, senza poi approfondire ciò che si è visto. È normale che tutto questo finisca nel dimenticatoio. Per questi motivi dobbiamo smettere di ricordare un passato che tutt’oggi ci ferisce. Abbiamo il diritto di dimenticare un avvenimento che ha segnato in maniera distruttiva il genere umano.

Inoltre, non c’è bisogno di istituire un giorno specifico per ricordarci dei morti della Seconda guerra mondiale. Non basta un giorno, è un processo che deve avvenire nel corso di un tempo molto più ampio. Non è possibile non sentir parlare di un avvenimento storico così distruttivo per 364 giorni l’anno e poi essere bombardati di notizie, documentari, film, interviste ecc… per un solo giorno.

Funziona come il 25 novembre, il giorno contro la violenza sulle donne: non possiamo parlarne solo il 25 novembre di femminicidio e di abusi, essi sono piaghe che attaccano la nostra società oggi come mai prima di adesso. Bisogna sensibilizzare i giovani e le persone almeno durante tutto il percorso della loro istruzione, non un giorno solo su 365 giorni l’anno.

Per questo credo che il Giorno della Memoria debba essere abolito, poiché dannoso e inutile.

 

Serena:

Una ricorrenza è sempre un momento in cui siamo tutti chiamati a riflettere. 

Il Giorno della Memoria viene celebrato non solo per ricordare tutte le vittime della terribile tragedia che è stata la Shoah, ma anche per riflettere su ciò che è accaduto, sulle cause e sulle ragioni ed evitare che in futuro accadano ancora fatti simili. È molto importante che ognuno mediti su ciò, perché la storia non si può cancellare, non possiamo eliminare qualunque fatto metta in cattiva luce l’uomo o ci faccia stare male o sentire in colpa, ma essa serve anche a ricordare i nostri errori, imparare da essi e migliorare noi stessi.

Una ricorrenza deve essere un momento di rispetto non solo verso chi ha perso o dato la vita, ma anche verso tutti quelli che sono sopravvissuti. Essi hanno avuto molte ripercussioni psicologiche, sentono ancora oggi questo trauma come lo sentivano un tempo e perciò non riescono a parlarne. Ricordare questo evento deve essere un gesto di vicinanza verso di essi, che hanno passato un momento così buio e disumano. 

Ricordare questi momenti significa anche far tornare alla mente il periodo storico in cui essi si sono svolti. L’idea dei campi di sterminio si è sviluppata all’interno di una mente plasmata da ideologie nazionaliste e razziste, in assenza di democrazia. Alcune di queste idee sono presenti ancora oggi, ma ricordare ciò deve farci capire che esse non devono sfociare in odio e persecuzione. Perciò è molto importante commemorare un evento di questa portata, perché con la fine di esso non sono svanite le idee che lo hanno concretizzato, ma esse sono ancora vive e per quanto in molti pensino che siano concezioni ingiuste, altri le sosterranno.

Tuttavia, secondo molti le ricorrenze come questa sarebbero inutili, le vedono solo come un peso che trasciniamo dietro e non lasciamo mai andare. Essi pensano a questi eventi come a qualcosa di lontano, accaduto in passato, un peso per la civiltà moderna dal quale liberarsi, perché fa solo stare male. Credono che ciò non li riguardi, non direttamente, che questa non sia la loro storia e perciò non si sentono parte di essa, ma vorrebbero solo dimenticare e vivere liberamente senza un ulteriore peso sulla coscienza. Secondo loro stiamo guardando indietro invece di guardare avanti.

Vedono questo tipo di ricordo come un tormento continuo di cui non hanno colpa e che soprattutto non possono condividere, perché nessun tipo di sofferenza del mondo è condivisibile. In più le ricorrenze non servirebbero a molto se non a peggiorare sempre di più la situazione: queste occasioni vengono viste come momenti di sfogo da parte di chi non le approva. Quindi sarebbero un insulto al ricordo di chi è morto.

Essi pensano inoltre che il Giorno della Memoria venga visto come una sorta di risarcimento verso gli ebrei, affermando che in realtà non riguarderebbe direttamente essi, perché tutto è stato ideato e messo in atto da altri, mentre loro sarebbero stati solo le vittime.

Poi ci sono i negazionisti, i quali negano l’accaduto affermando perciò che sarebbe inutile ricordare un fatto mai avvenuto.

Infine, c’è a chi non importa, chi non si lascia commuovere, chi resta indifferente e vede questa ricorrenza come un giorno qualunque, senza significato.

 

Leonardo:

La Giornata della Memoria è una ricorrenza molto importante che soprattutto in Italia viene considerata tale nell’educazione alla responsabilità, anche nella vita di tutti i giorni.

Con il ricordo delle vittime della Shoah si mantiene una testimonianza collettiva di un atto terribile verificatosi in tempi molto recenti in Europa, in particolare in Germania e in Italia.

Tuttavia si possono anche muovere critiche a questa importantissima celebrazione, per esempio si potrebbe erroneamente pensare che ricordando la Shoah si dia più importanza alle vittime dell’Olocausto del popolo ebraico piuttosto che porli sullo stesso piano di tutte le altre persone coinvolte, oppure che si dia più importanza al ricordo di un genocidio in particolare, come se fosse stato più importante di altri. Per smontare queste argomentazioni occorre tenere presente del fatto che il vero scopo della giornata della memoria non è omaggiare le vittime della Shoah, ma è invece un riconoscere pubblicamente le responsabilità (spesso come Stati) di un’azione tremenda che il genere umano è stato capace di infliggere a se stesso, facendo riferimento all’Olocausto poiché si tratta di un genocidio di grandissime dimensioni verificatosi in tempi molto recenti che ha coinvolto milioni di individui anche indirettamente e che rappresenta un ricordo ancora molto vivido nella memoria collettiva: è proprio per non far accadere di nuovo qualcosa del genere che si ricordano le atrocità dell’Olocausto.

Personalmente un’argomentazione a sfavore della Giornata della Memoria che vorrei esporre riguarda la scelta della data: secondo me scegliere come simbolo della memoria dell’Olocausto la liberazione di un campo di concentramento nazista, seppur il più “importante”, non rappresenta pienamente quello che è lo spirito della ricorrenza. La liberazione di Auschwitz è stato un evento felice che testimonia la fine della sofferenza, ma per me il ricordo della sofferenza di milioni di persone si rappresenta meglio con l’inizio della sofferenza, andando quindi a scegliere come data per la Giornata della Memoria il 16 di Ottobre, data del rastrellamento del ghetto di Roma (come proposto da Furio Colombo), piuttosto che la liberazione di Auschwitz.

Ci sono altre critiche mosse contro il Giorno della Memoria, ad esempio c’è chi sostiene che questa giornata stia diventando sempre più una celebrazione vuota il cui significato è svanito, si crede che pensare una volta all’anno alle vittime della Shoah possa in qualche modo alleggerire le nostre responsabilità nei confronti delle vittime. Secondo me la commemorazione continua ad avere un senso, anche se ormai sembra ripetitiva, poiché ogni tanto ci scuote dalle nostre vite tranquille e ci urla in faccia quanto è facile diventare dei mostri, ci fa vedere cosa può essere davvero un uomo in preda all’odio, ci insegna che l’odio non ci porta da nessuna parte, ma anzi ci fa regredire allo stato selvatico.

Ai giorni nostri è ancora più importante tenere viva la testimonianza dell’Olocausto poiché man mano che passa il tempo rimarranno solo persone che non hanno vissuto l’esperienza in prima persona e che non avranno più testimonianze dirette del triste avvenimento e se non ricorderanno più questa tragedia rischieranno di commettere di nuovo l’errore di odiare, per questo è importante che siano proprio i più giovani ad essere educati a non cadere preda di facili sentimenti. Per nostra fortuna sono proprio i giovani e i giovanissimi quelli che spesso si interessano maggiormente a una realtà lontana dalle menti di generazioni intere che non hanno, per fortuna, mai sperimentato l’orrore di una guerra, perché consapevoli di essere coloro che dovranno impedire che disgrazie simili accadano di nuovo.

«L’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria».
Primo Levi

 

Francesca:

Ho deciso di strutturare la mia riflessione in modo schematico affinché sia più immediata la comprensione delle mie ragioni.

Argomentazioni sí                                            

  • Bisogno di non dimenticare ciò che l’uomo è capace di fare;
  • Necessità di trasmettere ai giovani gli orrori di cui ci siamo resi partecipi;
  • Chi non parla si rende automaticamente complice di un delitto;
  • Il lato distruttivo, devastante del progresso, che a favore di esso e in nome di esso è capace di fare cose peggiori che uccidere;
  • LA PERICOLOSITÀ DELLE IDEOLOGIE, il fanatismo, tutto ciò ha contribuito a far affossare la storia dell’umanità.

 

Nel Giorno della Memoria è commemorata la Shoah, l’evento più sconcertante, doloroso e crudele dell’intera storia umana. È stato introdotto dal Parlamento nel 2000 nel tentativo di impedire all’uomo di dimenticare. La Shoah è infatti la testimonianza di ciò che l’uomo è capace di fare, dell’orrore che non solo può concepire ma anche attuare nel modo più crudele. È necessario trasmettere ai giovani anche questo aspetto della loro storia, non soltanto studiandola dai libri ma con attività come il treno della memoria, film e testimonianze dirette. La Shoah testimonia non soltanto la deportazione e la perdita di ogni dignità per gli ebrei, ma anche il senso di colpa di chi sapeva e non ha parlato, il pericolo dell’omertà che ha ucciso milioni di persone e tenuto nel silenzio per anni la sofferenza dei vivi. La doppia faccia del progresso: i giovani tendono a conoscere solo il lato luminoso e splendido del progresso, dimenticando che non solo Auschwitz ma tutti i campi dì concentramento sfruttavano gli uomini come schiavi in una mentalità da industria, e con la stessa efficienza di un’industria quando ci sono troppe scorie, li eliminava. In favore del progresso Josef Mengele ha condotto torture sotto il nome di esperimenti su donne incinte e bambini. I prodotti del progresso, come lo Zyklon B, hanno condotto alla morte per asfissia migliaia di innocenti. Adolf Hitler e Mussolini si pronunciavano a favore dell’egemonia della razza ariana per un futuro migliore. Fu il loro “agire per il bene superiore” a renderli assassini. 

È necessario non solo che i giovani comprendano gli orrori, ma perché siano stati commessi. In nome di un’ideologia, sotto l’influsso del fanatismo milioni di uomini si sono resi complici del più grande sterminio di massa della storia. Per una bandiera dalla croce uncinata migliaia di famiglie sono state divise, torturate e private di un’identità. Giovani privati di sogni, uomini privati della loro umanità e bloccati per sempre nel passato, impossibilitati ad andare avanti. 

 

Argomentazioni no

  • Il Giorno della Memoria vive soprattutto grazie ai racconti di chi ha vissuto la deportazione; una volta che quelle persone saranno morte, inevitabilmente la Shoah sarà diventata Storia, qualcosa che si allontana col passare del tempo e mano a mano si opacizza, diventa sempre meno vicina ai nostri vissuti.
  • Incapacità della ritualità di questa ricorrenza di appassionare i giovani, i quali con l’andare del tempo potrebbero perdere il senso di ciò che stanno facendo, cioè ricordare.
  • Continuare a parlare di ciò che è accaduto conduce inevitabilmente allo spettacolarizzare e strumentalizzare un giorno che dovrebbe essere dedicato al raccoglimento e alla rievocazione di momenti che hanno gelato il sangue a noi esterni e ucciso dentro chi era presente.

 

Negare il bisogno di ricordare sembra un abominio. Si dice che dimenticare è la via per tornare alla tragedia, che ricordare è un modo per far sì che non accada più.

Tuttavia ci troviamo nel nuovo millennio da vent’anni, e da vent’anni commemoriamo il dolore e l’annientamento personale che chi ha vissuto la Shoah continua a sperimentare. Noi commemoriamo, e nel commemorare viene spontaneo cercare di immedesimarsi nel passato delle vittime, crediamo di provare empatia per tutti quelli che sono morti, ma in realtà noi -noi dell’esterno- non potremo mai comprendere fino in fondo ciò che è stato, per chi ha vissuto la Shoah in prima persona, per chi si sente ancora addosso il dolore e la rabbia e cerca ancora di capire perché sia avvenuto: vedere come il Giorno della memoria è celebrato oggi, con la spettacolarizzazione, la strumentalizzazione della politica, dei media, l’infarcire il dolore con ridondanti parole di circostanza, mortifica il loro vissuto. 

Quando poi il Giorno della Memoria diventa uno scopo per fare marketing, allora è là che finisce ogni buona intenzione; ogni anno durante la Settimana della memoria si producono film, si invitano giornalisti, si fa tutto un gran polverone intorno a quella che dovrebbe essere una ricorrenza di raccoglimento. Inoltre, ogni anno si cerca sempre di fare qualcosa di nuovo, portare qualcosa di emozionante e sorprendente per il pubblico che, si sa, poi si annoia. Ed è qui che il Giorno della Memoria diventerà una celebrazione vuota, senza vera partecipazione, qualcosa che, una volta persa per sempre la testimonianza diretta di quella tragedia, si sgretolerà da sé. E dunque non sarà servita a niente, perché a cosa serve qualcosa che non sa stare in piedi da sola? Coloro che ricordano lo fanno perché non possono fare altrimenti, perché ciò che è avvenuto è scritto dentro di loro: la tragica conferma che la crudeltà è insita nella natura umana. E noi dal futuro percepiamo grande la responsabilità che ci grava sulle spalle, quella di non ripetere gli orrori che hanno segnato una generazione mondiale e un popolo intero per sempre, e così istituiamo questo Giorno per ricordare, ricordare è un verbo che ritorna sempre. 

Questa giornata non è una specie di “risarcimento” verso gli ebrei; una giornata istituita per farci sentire tutti più partecipi e meno colpevoli di quel dolore. Questa giornata appartiene ai vivi. 

 

Eva:

Il passato è come un vecchio baule che ogni tanto viene riaperto, dal quale escono vecchi ricordi, avvenimenti, decisioni, comportamenti giusti o sbagliati. Il baule dell’Olocausto viene aperto da 20 anni solo per ricordare i crimini, il terrore, la violenza dei Nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Ciò che stanca le persone è proprio questo. Racchiudere la memoria in una data, il 27 gennaio. In quel giorno in qualsiasi Paese si accendono luci, si prega, si fanno interviste, si depongono fiori…. Però mi chiedo se tutto questo ha veramente un senso, perché ogni giorno dovrebbe essere il 27 gennaio, per vivere meglio e prendere spunto dagli errori dei nostri antenati per essere nel presente persone migliori. Inoltre, sebbene Hitler abbia commesso atrocità, stermini, seminato terrore, è accaduto 70 anni fa! Anche oggi sono presenti molte violenze di cui nessuno parla e nessuno prova ad affrontare, ma sono comunque il presente che viviamo: Ruanda, Bosnia, Sudan … In queste e in molte altre nazioni avvengono guerre contro delle minoranze etniche che non vengono più riconosciute, contro diverse religioni, avvengono discriminazioni soltanto per il diverso colore della pelle. Per questo penso che ci dovrebbero essere molte “memorie”, soprattutto parallele al secolo in cui viviamo, unite a quelle passate che comunque restano lo stesso avvenimenti importanti e punti di svolta per l’essere umano.

 

Maria:

Ritengo che il Giorno della Memoria abbia perso lo scopo per cui era stato indetto.

Per prima cosa vorrei sottolineare il fatto che, come anche nella Giornata contro la Violenza sulle Donne (se mi è permesso trovare un parallelismo), più che a ricordare ed a commemorare, questo giorno susciti sempre di più il contrario. I giornali, le riviste, i programmi televisivi, i dati statistici e le foto di svastiche (per esempio) lo dimostrano; queste commemorazioni servono sì a ricordare alla parte civile del popolo italiano quanto non si dovrebbe più ripetere, ma al contempo creano l’occasione per coloro che la pensano diversamente di dare prova che queste cose accadono ancora e sempre di più. Per questo, ritengo che il Giorno della Memoria debba essere abolito poiché ultimamente suscita l’effetto contrario rispetto a quello per cui era stato promosso.

Il seguente spunto è tratto dal libro “Contro il giorno della Memoria” di Elena Loewenthal:

“Forse, ogni tanto speri di poterla dimenticare. È pura illusione, altro che memoria. Per coloro che sono nati dopo, il vero sogno sarebbe poterla dimenticare, questa storia. Rimuovere la Shoah dall’universo della coscienza e dall’ inconscio, soprattutto.

Ci vorrebbe l’oblio. […] È una forma di difesa dall’angoscia, una pulsione di vita, l’oblio: così spiega Simon Daniel Kipman in” L’Oubli et ses vertus”. Anche lui, che è psicoanalista, al dovere della memoria contrappone il diritto all’oblio e soprattutto il diritto alla trasformazione in tracce meno tossiche e più confortevoli dell’«iscrizione traumatica e traumatizzante del ricordo».

Se solo la si potesse dimenticare, questa storia. Non i suoi morti, che poi sono miei, ma la storia in sé. Le leggi razziali, le persecuzioni, i treni con i deportati, le camere a gas, le torture, le fucilazioni di massa, le violenze assurde. Perché mai coltivarne la memoria, se non per continuare a star male? L’ebraismo è una cultura della vita, ha fede nella vita. Non coltiva la morte.

Pensare che gli ebrei ambiscano a celebrare questa memoria significa non provare nemmeno a mettersi nei loro panni. Quella memoria è scomoda, terribile, respingente.

Anche per questa ragione, o forse in primo luogo per questa ragione, io rinnego il GdM: non mi appartiene, riguarda la mia memoria. La mia memoria non comunica. Malgrado la mia vicinanza estrema e quotidiana, provo una frustrazione terribile che è la conseguenza di una distanza minima, ma insormontabile. A un passo di lì ci sono quel dolore, quelle paure. Lo so, ma non posso far nulla per condividerlo, per sentirlo, per renderlo comunicabile. […]

Ricordare è un bene di per sé. Ma forse non è così. Forse anche le società hanno bisogno di dimenticare – le ferite, i torti perpetrati e quelli subiti.

Al di là di questo, il Giorno della Memoria sta dimostrando, purtroppo, che la memoria non porta necessariamente un segno positivo, non è utile o benefica di per sé. Può rivoltarsi e diventare velenosa. Scatenare il peggio invece di una presa di coscienza. Come aiuta molti a capire, come fa opera istruttiva, così il Giorno della Memoria è diventato il pretesto per sfogare il peggio, per riaccanirsi contro quelle vittime, per dimostrare che sapere non rende necessariamente migliori. Di fronte ad alcuni, diffusi fenomeni, la reazione istintiva è ormai quella di rammaricarsi della conoscenza acquisita: se circolasse meno memoria, se di Shoah non si parlasse tanto e disinvoltamente, forse si eviterebbero esternazioni verbali – e a volte non solo verbali – che sono un insulto rivolto a tutti. Ai morti, ai sopravvissuti, ma soprattutto alla società civile contemporanea. In sostanza, in questi ultimi anni la memoria non si è dimostrata particolarmente terapeutica: se di certe cose si parla molto più che in passato, è anche vero che non di rado se ne parla offendendo la memoria – sempre che abbia senso, l’espressione «offendere la memoria»: caso mai si offendono i vivi, perché i morti, purtroppo per loro, non si offendono più. È quasi come se la celebrazione della memoria avesse autorizzato la sua stessa violazione. Per questo ogni tanto il silenzio sarebbe auspicabile.

Ma la violazione peggiore, quella più grave e sicuramente più gravida di conseguenze, è quella di considerare il Giorno della Memoria come l’occasione di un tributo agli ebrei, un postumo e ovviamente simbolico risarcimento. Non è, non dovrebbe essere nulla di tutto questo.

E non è uno sguardo nemmeno consolatorio. […] Ma non certo per far sì che non accada mai più. La memoria non porta con sé alcuna speranza. La cognizione del male non è un vaccino. «Ricordare perché non accada mai più» è una frase vuota. Se anche non dovesse accadere mai più, non sarà per merito della memoria, ma del caso.

 

Grazia:

Il Giorno della Memoria che si celebra ogni 27 Gennaio, anniversario della liberazione del Lager di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa nel 1945, in ricordo delle vittime della Shoah, ormai è diventato un vero e proprio rito, una ricorrenza internazionale che ci invita a riflettere riguardo ciò che è successo e a non ricommettere gli errori compiuti nel passato. Dedicare una giornata alla Shoah dà agli uomini l’illusione di poter alleggerire il senso di colpa, quando in realtà ciò che è successo non si può cancellare con un giorno all’anno di riflessione. Dovremmo essere autonomamente capaci di dedicare dei momenti nella nostra vita, indipendentemente da celebrazioni e riti, a un’analisi interiore. Siamo infatti portati a pensare che soltanto in questo giorno sia doveroso riflettere riguardo l’accaduto, mentre dovremmo essere sempre consapevoli degli errori del passato e delle tragedie, e non essere obbligati a riflettere solo perché la società ce lo impone con la Giornata della Memoria. A mio parere è proprio la sua dimensione ritualistica e commemorativa che confligge con conoscenza e riflessione. La parola rito infatti è sinonimo di tradizione, usanza, abitudine e come tutte le cose ripetitive può venire a noia e stancare. Le frasi che sentiamo pronunciare durante questo giorno di commemorazione, come “ricordare per non dimenticare”, sono sempre le stesse e sono diventate quasi degli slogan. Il 27 Gennaio vediamo tutti dedicare post e frasi sui social con riflessioni in merito alla Shoah, forse senza nemmeno avere la piena consapevolezza di ciò che è realmente successo, quasi per dovere, per non apparire agli altri insensibili e indifferenti alla tragedia. Ma perché ci sentiamo quasi obbligati a spendere delle parole per commentare l’accaduto? Questo è da attribuire certamente a ciò che la società fino ad ora ci ha suggerito di fare, ovvero di ricordare ogni anno questo tragico episodio della storia per far sì che le generazioni future non dimentichino. Questo suggerimento non è da condannare, ma certamente non impedirà agli uomini di compiere azioni deplorevoli, di rimanere lontani dal male. Infatti, come sostiene Elena Loewenthal, “se anche non dovesse accadere mai più, non sarà per merito della memoria, ma del caso”. Questa scrittrice e studiosa di ebraismo è stata una delle poche ad esporre critiche contro questa commemorazione; infatti, nel suo pamphlet “Contro il Giorno della Memoria”, dichiara che il suo desiderio sarebbe quello di dimenticare questa tragedia, rimuovere la Shoah dall’universo della sua coscienza e dal suo inconscio.  Al ricordo preferisce l’oblio. Tuttavia viviamo in un tempo che celebra la memoria come valore e l’oblio come difetto; ma come afferma lo psicoanalista Kipman quest’ultimo non ha a che fare con il vuoto, ma si tratta piuttosto di una forma di difesa dall’angoscia. “Se solo la si potesse dimenticare, questa storia. Non i suoi morti, ma la storia in sé. Le leggi razziali, le persecuzioni, i treni con i deportati, le camere a gas, le torture, le fucilazioni di massa, le violenze assurde. Perché mai coltivarne la memoria, se non per continuare a star male? Ma l’autolesionismo non fa parte della mia identità, né del mio bagaglio morale o teologico. L’ebraismo è una cultura della vita, ha fede nella vita. Non coltiva la morte.” Inoltre, questa giornata sta dimostrando, purtroppo, che la memoria non porta necessariamente a effetti positivi ma può anche scatenare il peggio e diventare il pretesto per accanirsi contro quelle vittime. Forse, se della Shoah non si parlasse tanto e disinvoltamente, si eviterebbero insulti, violenze verbali e non solo. Ancora Loewenthal evidenzia poi il fatto che esso non dovrebbe rappresentare un omaggio agli ebrei, un risarcimento per quello che hanno subito, ma una ricorrenza introspettiva, un invito all’Europa a riflettere su come sia stato possibile, quali condizioni abbiano permesso quel che è stato. Non devono essere gli ebrei a ricordare perché “quella storia ce l’hanno scritta addosso”, ma tutti gli altri. Il Giorno della Memoria è diventato invece un’occasione per mettere in scena mostre, dibattiti, incontri, cerimonie e manifestazioni; le scuole e le istituzioni non vogliono mai ripetersi, ma ogni anno vogliono lasciare il segno e rinnovare questa celebrazione, trasformandola così in un fenomeno sociale che riguarda più il presente che il passato. Perché questa ansia di rinnovamento? Perché la memoria non è ‘sincera’, non è quel momento di introspezione che avrebbe dovuto essere, ma un risarcimento alle vittime.

 

Lorenzo:

Il Giorno della Memoria, a seguito del voto nel 2005 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a livello internazionale, ma già dal 2001 in Italia, viene celebrato il 27 gennaio di ogni anno, giorno in cui venne liberato il campo di sterminio di Auschwitz dall’armata russa. Questa ricorrenza si pone lo scopo di dedicare un giorno alla riflessione sulle vittime della Shoah, e di informare la popolazione su ciò che è avvenuto affinché non si ripetano tragedie simili.

Il modo in cui esso viene celebrato è però alquanto criticabile. Ogni anno ci ritroviamo a parlare (non sempre a ragionare) di ciò che è accaduto, impariamo a memoria qualche dato e qualche data, numeri che se non contestualizzati e compresi  propriamente si riferiscono a freddi e distanti fatti storici e non suscitano quella partecipazione necessaria a comprendere simili tragedie che lo studio appropriato di questi eventi storici dovrebbe produrre. Senz’altro non tutte le iniziative proposte durante questa celebrazione sono futili, ma purtroppo, sia per la modalità in cui molte di queste sono effettuate (confinate al convenzionale giorno), sia per la relativamente bassa quantità di eventi veramente utili e produttivi, queste si sono rivelate insufficienti. A prova di ciò basta osservare il panorama politico europeo e non solo, dove non mancano tendenze ultranazionalistiche, che evocano in parte quelle del nazismo, o lo scenario mondiale, dove l’oppressione delle minoranze non è un problema passato (basti pensare alla minoranza musulmana degli Uiguri in Cina, repressa e deportata in campi di concentramento).

Dobbiamo inoltre riconoscere che una commemorazione di un solo giorno, ripetuta ogni anno quasi come ritualità, non può porsi l’obbiettivo di ragionare propriamente su un evento di tale complessità, che ha segnato la storia del nostro Paese e dell’umanità così profondamente. Io ad esempio ricordo vagamente cosa ho fatto 5 o 6 anni fa per il giorno della memoria, ma se c’è una cosa che ricordo quasi fotograficamente è stata l’esperienza di pellegrinaggio in terza media nella quale ho visitato i campi di sterminio di Birkenau, Ebensee, Gusen, Dachau e Mauthausen, confrontandomi direttamente con delle realtà che sono state senza dubbio scioccanti per un ragazzo di 14 anni, ma che mi hanno fatto comprendere come quei numeri imparati a scuola fossero persone con nome e cognome, con una storia e un futuro stroncato nel peggiore dei modi. Milioni di persone innocenti private di ogni forma di umanità, stremate dal lavoro, divorate dalla fame e dal freddo, uccise per il semplice motivo di essere sfruttati fino allo stremo. Le esperienze necessarie a comprendere anche solo in parte eventi di questa portata non sono quindi giornate di commemorazione, ma riflessioni personali e profonde, che dobbiamo intraprendere e conservare, e che non dobbiamo mettere da parte da un giorno all’altro.

 

Giorgio:

Giunto quasi alla maggiore età posso affermare come, da quando io ho iniziato il mio percorso di studi, le maestre ed i professori abbiano sempre dato molta importanza alla Giornata della Memoria con iniziative quali la proiezione di film come “Il bambino col pigiama a righe”, “La vita è bella” di Benigni, o la lettura di opere come “Se questo è un uomo” di Primo Levi, o ancora con dibattiti sul tema.

Oramai, infatti, la giornata mondiale della memoria è divenuta una consuetudine e come tale viene spesso celebrata senza riflettere davvero sulle vicende personali e sulle vittime dell’Olocausto. Non troppo diversamente di come avviene per celebrazioni come il 2 giugno italiano (nascita della Repubblica), o il 14 luglio francese (presa della Bastiglia) o il 4 luglio americano (giorno dell’indipendenza), cioè date che ormai conosciamo ma che, sinceramente, sono per noi lontane non solo dal punto di vista temporale ma anche empatico. Il Giorno della Memoria non ci dovrebbe ricordare una data, ma delle sensazioni, come l’orrore, la sofferenza, il disprezzo per i colpevoli e la grande vicinanza per le vittime, affinché i fatti non si ripetano. Perché questo avvenga non dobbiamo solo ricordare con la mente, ma anche con il cuore.

Fortunatamente qualche anno fa ho avuto la possibilità di “intervistare” il mio bis nonno, essendo quest’ultimo stato deportato nei campi di concentramento nazisti durante la Seconda guerra mondiale.

Infatti, durante la preparazione della mia tesina di terza media, incentrata proprio sul periodo della Seconda guerra mondiale, ho avuto modo di ascoltare la sua storia e solo grazie alle sue parole e al suo tono commosso sono stato in grado di comprendere a pieno le atrocità e il dolore provato dai martiri della Shoah. Mio nonno mi ha raccontato che durate la prigionia i soldati lo facevano lavorare duramente tutto il giorno e a sera davano 2 pezzi di pane a 3 prigionieri, questo per costringerli a dividere in 3 due piccoli e duri tozzi di pane, trasformandoli in animali, togliendo loro la dignità. Questa scena vale più di mille film o dibattiti.

Purtroppo, con il passare degli anni, i testimoni diretti ancora in vita, in grado di raccontare tali eventi sono pochi, ahimè nemmeno più mio nonno, e proprio per questo motivo, secondo me, la giornata celebrativa della memoria sta andando col tempo a perdere sempre più valore finendo così per diventare soltanto una semplice data fissata sul calendario. Capisco l’importanza ma, forse, sarebbe da rivedere la modalità di celebrazione, ad esempio con gite scolastiche sui luoghi dell’orrore, dove ancora è possibile “respirare” ciò che è avvenuto e riflettere su come impedire che si ripeta.

 

Noemi:

Il 27 gennaio è una giornata celebrativa ma non è certo l’unica solennità che osserviamo ogni anno in Italia allo scopo di commemorare vittime. Ricordiamo, tra le altre, la giornata europea in ricordo delle vittime del terrorismo (11 Marzo), la giornata nazionale in ricordo delle vittime del terrorismo e delle stragi (9 Maggio) e il giorno del ricordo volto a conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe (10 Febbraio). Ritengo che, nonostante la Shoah sia un avvenimento unico nel suo genere, trattandosi di un genocidio razionale, ben organizzato, che si avvaleva della tecnologia e di impianti efficienti per sterminare un popolo intero nel cuore dell’Europa, sia ingiusto dare così tanta importanza ad essa, senza considerare, invece, altri avvenimenti o momenti storici che hanno riportato comunque un gran numero di vittime. A tal proposito, è corretto citare la collettivizzazione forzata cinese (1949-76) con i suoi 40 milioni di morti, voluta da Mao Zedong, fondatore della Repubblica Popolare cinese e l’epoca buia di Stalin, che in Unione Sovietica, dal 1928 al 1954 costò la vita ad almeno 16 milioni di persone. Sebbene questi due avvenimenti sopra citati non siano così vicini alla nostra cultura, dovrebbero essere ricordati ed anche tutti gli altri che, ahimè, ignoro (vista la mia giovane età) perché solo così potremmo imparare dagli errori e diventare ottimi cittadini del mondo e del domani. Inoltre, è necessario sia mettere un freno alla ridondanza delle celebrazioni, sia comprendere una volta per tutte che questa ricorrenza non è e non deve essere un atto di omaggio agli ebrei sterminati: loro l’hanno già provato sulle loro pelli. Deve essere un modo per l’Europa per guardarsi con gli occhi allibiti dei soldati russi che entrarono ad Auschwitz, per riflettere sul fatto che l’Europa era un immenso cimitero e che sotto un sottile strato di terra si trovavano le ceneri e i resti di milioni di cadaveri senza nome. Gli insegnanti si trovano costretti a far riflettere su questo giorno anche se davanti ai loro occhi hanno ragazzi troppo piccoli per capire o già grandi per comprenderne l’inutilità. Sarebbe doveroso da parte degli studenti, invece, trovare un senso a questa data tra le righe di qualche autore che ha vissuto tutto ciò. Infine, sostengo che, dopo 20 anni, il Giorno della Memoria sia diventato solo una “data sul calendario” perdendo in misura maggiore il suo autentico valore, il quale sta divenendo più formale che concreto.

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